MOONLIGHT HAZE – Intervista con la band (ITA Version)

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Intervista di Miriam C.

Probabilmente il nome Moonlight Haze, allo stato delle cose, non vi dice nulla ma dietro a questo monicker si celano 5 dei più navigati musicisti del settore metal italiano. Ovviamente, Chiara Tricarico e Giulio Capone, ai più ricorderà i Temperance, rispettivamente ex frontwoman ed ex batterista. Ma, sicuramente il chitarrista Marco Falanga non è da meno vista la precedente esperienza con i compianti Overtures. Senza ulteriormente indugiare su inutili presentazioni, lasciamo la parola ai diretti interessati  nell’introdurre il nuovo debut “De Rerum Natura” uscita recentemente su Scarlet Records.

Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Femme Metal. È un piacere ospitarvi sulle nostre pagine. Come state?

Chiara: Benissimo, grazie! E grazie per averci dedicato questo spazio!

Vorrei aprire la nostra intervista parlando, appunto, dei Moonlight Haze, nuova band che si affaccia al mercato musicale quest’anno con il suo primo esordio, “De Rerum Natura”, appena uscito da un paio di settimane per Scarlet Records. Partiamo proprio da una domanda bruciapelo: il progetto nasce da un’idea di tua e Giulio dopo la dipartita dai Temperance. Senza indagare troppo sui motivi che vi hanno spinto ad allontanarvi dai vostri ex compagni, cosa vi ha spinti a fondare una vostra band?

Chiara: L’idea iniziale è venuta a Giulio, che infatti nel 2018 mi aveva telefonato per espormi questa sua idea di tornare a suonare insieme a me. Le motivazioni erano e sono molto semplici: io e lui abbiamo gusti musicali per certi versi tanto simili, per altri opposti e complementari e inoltre ci siamo sempre trovati molto bene a lavorare insieme. Quindi, appunto, mi aveva fatto questa proposta, che sul momento gli avevo detto avrei voluto lasciare in stand-by… ma poi mi ha girato delle demo che aveva scritto pensando proprio a questo nuovo progetto e io mi sono presa talmente bene che ho iniziato a mia volta a scrivere e a cercare componenti per i Moonlight Haze.

Giulio: In più c’era la voglia di fare qualcosa di completamente libero, creativamente parlando, con la possibilità di farlo con persone che condividessero l’ottica con noi: puntare a fare qualcosa che fosse il più possibile un’esperienza per l’ascoltatore (e per il musicista).

Proprio perché entrambi avete militato nei Temperance, deduco che abbiate portato l’esperienza guadagnata sia in sede live, che in studio all’interno di questa nuova creatura musicale. È esatto?

Chiara: Sia io che Giulio abbiamo avuto negli anni diverse esperienze con diverse formazioni, anche al di là di quella da te citata, e anche gli altri ragazzi della band non sono di certo alla prima esperienza! Quindi ovvio che il nostro bagaglio globale maturato in anni di studio e lavoro ce lo siamo portati dietro! Devo dire però che l’esperienza con i Moonlight Haze, almeno per quanto mi riguarda, è stata molto diversa da tutte le altre fatte in precedenza: abbiamo voluto lavorare per diversi mesi “in segreto” per poterci sentire liberi da ogni pressione e ogni influenza esterna. Questa volta si respirava un clima di libertà creativa che davvero, insieme all’entusiasmo derivante dalla consapevolezza di creare qualcosa di nuovo fin dalle radici, ha reso l’intera esperienza unica!

La band vede, inoltre, anche altri membri provenienti da Elvenking, Overtures, Sound Storm e Teodasia, altre realtà musicali dove Chiara ha militato precedentemente. Come sono stati reclutati i membri?

Giulio: Hai presente quella bella sensazione di avere davanti un foglio bianco? Ecco, quando abbiamo iniziato a pensare a chi sarebbe stato perfetto per questa band ci sono subito venuti in mente alcuni nomi con cui abbiamo avuto a che fare in sede di tour, date singole o esperienze varie in studio. Ecco che in pochi giorni il team era pronto e devo ammettere che anche gli altri membri inizialmente erano restii a iniziare una nuova band da zero essendo molto impegnati con i rispettivi impegni ma credo abbiano colto l’essenza dei brani e del progetto dopo l’ascolto delle demo.

Pur essendo la band composta da ex/attuali membri di tante realtà italiane conosciute, si potrebbe dire che questo nuovo progetto musicale vive di luce propria ed ha una forte identità musicale. Come si distinguono i Moonlight Haze in mezzo a tantissime realtà nostrane (e non solo)? Quale è, secondo voi, il vostro punto di forza?

Giulio: Direi una coerente varietà: non c’è la volontà di cercare “lo strano” a tutti i costi o il singolo da classifica. Questo non toglie che ogni idea ci sia passata per la testa sia stata inserita senza preoccuparci molto se fosse metal o meno. Parlo a titolo personale qui: inserire elementi folk asiatici è stato un mio pallino per anni e spesso non ho potuto esprimere questa forte influenza come avrei voluto. Con i MH ho potuto farlo senza preoccuparmi di nulla. Altro punto di forza è che nonostante sia una Female Fronted Band (ovvio… la nostra cantante è una ragazza!), i MH possono essere etichettati orgogliosamente come Power Metal!

Come vi siete approcciati alla stesura dei testi e alla composizione della musica, essendo voi musicisti provenienti da altri gruppi molto conosciuti sia in Italia, che all’estero?

Chiara: Come già accennato, la gran parte della composizione a livello musicale è opera di Giulio, mentre io scrivo parte delle melodie della voce e tutti i testi. C’è da aggiungere però che tutti gli altri membri della band hanno avuto la massima libertà di modificare ed arricchire le proprie parti e quindi hanno dato davvero un contributo decisivo all’outcome dell’album.

Si può dire che, effettivamente, “De Rerum Natura” è un disco molto variegato che presenta tantissimi elementi, da quelli sinfonici al folk, e ancora alla musica orientaleggiante e inserti jazz, come ho riscontrato ad esempio ascoltando “Dark Corners of Myself”, tanto per menzionare un brano rappresentativo. A cosa è dovuta la scelta di spaziare su così tanti lidi diversi fra loro?

Giulio: Credo sia stata la voglia di scrivere qualcosa che avremmo voluto ascoltare noi per primi. Come ho già detto in altre occasioni, ricordo bene l’emozione e il totale senso di meraviglia ascoltando dischi come “Holy Land” degli Angra o ad esempio “Vision” degli Stratovarius (per citarne due al volo) e durante l’ascolto ero lontano da ogni problema della vita. Ecco, penso che “De Rerum Natura” possa aiutare a “staccare la spina” da ogni problema per un’ora e far viaggiare con la mente l’ascoltatore in posti lontani. Hai citato bene “Dark Corners of Myself” che è nata come un piccolo viaggio attorno al mondo almeno per quanto riguarda le influenze presenti.

Il disco vanta anche la partecipazione straordinaria di Mark Jansen degli Epica e della sua compagna, Laura Macrì. Sappiamo che quest’ultima ha un ottimo rapporto di amicizia con te ma come è nata sostanzialmente la vostra collaborazione artistica per il brano “Time” che vanta, appunto, la loro cooperazione?

Chiara: Esattamente, Laura è una cara amica e mi ha sostenuta moltissimo anche in questa esperienza, quindi mi è sembrato naturale coinvolgerla in questo disco. Nello specifico, avevo pensato proprio a tre “voci interiori” che in qualche modo dialogassero in questo brano… e la potente voce lirica di Laura era perfetta sia per interpretare il ruolo che avevo in mente, sia in contrasto con le harsh vocals di Mark. Avendo già ascoltato e ampiamente apprezzato la combinazione delle due voci nei MaYan, non ho avuto dubbi su chi contattare!

Anche l’artwork di copertina gioca un ruolo fondamentale qui. In quale modo si ricollega al tema stesso della natura e del concept del disco?

Chiara: In “De Rerum Natura” ogni canzone è indipendente e quindi non si tratta di un concept album; tuttavia, c’è un filo conduttore tra tutte le canzoni, che si riflette sia nella musica che nei testi. Infatti c’è sempre in primo piano il rapporto tra il mondo che ci circonda e la nostra interiorità. Noi vediamo la realtà con il filtro delle nostre emozioni, ma allo stesso tempo quello che ci succede, o che ci è successo in passato, va concretamente a influenzare quello che siamo nel “qui ed ora”. Ed è proprio quello che la copertina del disco, che è opera della super talentuosa Beatrice Demori, vuole raccontare: una commistione di elementi naturali ed artificiali in stretta correlazione.

Una cosa che da subito ha attirato la mia attenzione è la scelta nel voler utilizzare il latino, sia per il titolo dell’album che per alcuni testi (vedi “Ad Astra”, “Odi Et Amo”). Una scelta, questa, che in passato vedevamo spesso utilizzata dagli Epica. Cosa potete dirci a tal proposito?

Chiara: Penso che il latino sia una lingua molto bella e che si sposa molto bene con il mood del metal… infatti moltissime band lo hanno già utilizzato in passato e non siamo di certo noi i primi ad averlo fatto! Questa scelta è stata dettata principalmente dalla passione per la letteratura classica, che in molti nella band condividiamo, e dal fatto che per effettuare questo percorso di esplorazione ed osservazione del mondo che ci circonda e di ciò che proviamo (di cui ti parlavo nella precedente risposta) sono in tanti casi partita da citazioni di opere o motti latini per poi sviluppare i concetti in forma strettamente introspettiva nei testi dell’album.

Siete tutti musicisti navigati e con una certa esperienza alle spalle. Quale pensate possa essere l’insegnamento più grande che avete tratto in tutti questi anni di attività musicale?

Marco: Che non esiste nessun “arrivare” o “farcela”! I “big” sono persone normali, anzi spesso persone molto professionali e attente e che preferiscono la parola “missione” alla parola “sogno”.

Oggi giorno, si sa, è difficile vivere di sola musica. Anche i più grandi e blasonati nomi che popolano questo vasto ambiente faticano a campare con un’arte che, purtroppo, spesso e (mal)volentieri viene solo vista come un hobby. Secondo voi perché attualmente la situazione è diventata più complicata rispetto agli anni d’oro, come gli anni ’70 e ’80? Cosa ostacola, effettivamente, la crescita di una band e anche la rendita artistica della stessa?

Alberto: Credo l’argomento richieda un approfondimento che per vastitá in questa sede sarebbe fuori luogo, personalmente penso che l’ostacolo più grande per una band odierna sia arrivare ad un pubblico giovane sensibile ed interessato. Limitandoci all’ambito musicale, l’offerta artistica é enorme, il pubblico anche, ma la maggior parte di questo non sa gestire l’enorme input a cui é sottoposto; si sente molta più musica che in passato ma si ascolta e ci si lega di meno a quello che intimamente piace ed emoziona. Capiamoci, non si parla di “colpa”, ma piuttosto di una reale difficoltá da ambo le parti, sia di chi produce che di chi “consuma”. In un’industria in cui il valore del prodotto artistico é in larga parte determinato dalla reazione dell’utente, un atteggiamento collettivo incerto é deleterio perché svilisce, a ritroso, il valore dell’operato di tutti coloro che lavorano nella catena di produzione del prodotto stesso.

Marco: L’equazione è semplice: la musica nel 2019 è gratis. Per definizione. Provando a parlare con qualche adolescente provate a vedere che faccia fa quando gli si dice “Sai che dovresti pagare?”. La sua risposta è un innocente e secco “Perchè?”. Una band è quindi un’azienda che produce un prodotto il cui prezzo percepito è zero, e il bello è che ha una marea di competitor e tutti hanno accesso a mezzi di diffusione e promozione ampissimi. Prima che una di esse riesca a costruire un ecosistema intorno a se che porti a un profitto definibile tale, deve avere una struttura organizzativa e del know-how extra musicali notevoli, ma tornando al “non ci si paga neanche le spese” è chiaro che il sistema è buggato. Negli “anni d’oro” passavi mesi se non anni a produrre un disco, ma poi ci guadagnavi dei soldi con cui era possibile vivere (e anche bene ai tempi), oggi semplicemente il giro economico non c’è più, e ovviamente questo non può che riflettersi negativamente sulla qualità media delle produzioni. Ovviamente non posso negare l’esistenza di attività collaterali e magari aiutate dalla band (lezioni di musica, registrazioni, collaborazioni ecc), ma il puro guadagno di una band è già un successo se riesce a non essere negativo…ed eccoci arrivati al perchè spesso lo si reputi un hobby.

Anche in termini di live show, effettivamente, diventa sempre più difficile riuscire a far conoscere una band, specie se nata da poco, vuoi per l’ostilità dell’ambiente o della scarsa voglia di alcuni locali nel voler dar spazio a realtà esordienti. Quale è il vostro punto di vista in merito anche a questa faccenda? Cosa bisognerebbe fare affinché i locali e i promoter stessi, così come anche il pubblico, possano dare una mano in più alle band che vogliono far conoscere la propria musica senza vedersi sbattere troppe porte in faccia?

Alberto: Difficile avere tutte queste risposte, per quello che ci riguarda puntiamo a creare ed offrire al nostro spettatore uno spettacolo curato, dai suoni alle scenografie, e musicalmente sostanzioso! sappiamo da subito che ci chiuderemo da soli alcune porte, magari alcune varcate in passato, ma ora é un’altra storia!

Al momento, eccezion fatta per il vostro release party, avete dei live programmati o è una questione sulla quale state valutando alcune offerte?

Marco: Attualmente stiamo valutando alcune proposte. Ti dico la verità, non abbiamo fretta e nemmeno intenzione di uscire live in qualsiasi contesto: vogliamo portare, come diceva Alberto, uno spettacolo fatto al massimo delle nostre possibilità, e se questo non fosse possibile, abbiamo un sacco di altre cose da realizzare per chi ci segue!

Bene ragazzi, la nostra intervista è terminata. Lascio a voi la possibilità di concludere questa nostra chiacchierata come meglio credete. Grazie davvero del vostro tempo!

Chiara: Grazie mille Miriam e Femme Metal per questo spazio! E grazie a tutti coloro che, seppur nel breve lasso di tempo è stato fino ad ora la vita della band, hanno dimostrato fiducia e supporto nei nostri confronti… non ci saremmo mai potuti aspettare un benvenuto così caloroso!

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