BLOODY UNICORN – Intervista alla band (ITA version)

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Intervista di Arianna Govoni

“Smettiamo di cercare i mostri sotto al nostro letto quando realizziamo che sono dentro di noi”. Potremmo riassumere con questa semplice frase di Stephen King il concetto adottato dagli italiani Bloody Unicorn, qui al loro debutto sulla scena musicale con il loro primo EP, “Of Monsters Under The Bed”. Il trio melodic death metal italiano si presenta al pubblico internazionale con un gran bel biglietto da visita e pone la propria attenzione su alcune delle tematiche più spaventose e altresì delicate con le quali, spesso e malvolentieri, tutti quanti prima o poi hanno a che fare. Depressione, malattie mentali e demoni interiori sono, infatti, gli elementi che ruotano intorno al concept di questo primo lavoro in studio, che ripercorriamo insieme alla band in questa esclusiva intervista.

Ciao Irene, ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di FM. Diamo subito inizio alle danze e presentiamo ufficialmente la band ai nostri lettori. Come nascono i Bloody Unicorn?

Irene: Ciao! Grazie mille a voi per averci voluti nel vostro sito. I Bloody Unicorn nascono nel giugno del 2016 dalla mia voglia di ripartire con un nuovo gruppo, dopo aver concluso la mia attività con la mia prima band. All’epoca avevamo tutt’altra formazione e tutt’altro nome. Nei due anni successivi, con l’entrata di Davy Scarpellini alla chitarra, si è cercato di creare una line-up stabile, per poter registrare i primi pezzi e iniziare con l’attività live. Purtroppo, a settembre 2018, due membri su quattro hanno deciso di lasciare il progetto, al che io e Davy abbiamo deciso di coinvolgere Lorenzo Telve (Canticum Diaboli, Barbarossa, ex-Vereor Nox) alla batteria e ripartire con un nuovo nome e nuovi obiettivi.

Il nome, effettivamente, è abbastanza curioso (specialmente per la sottoscritta, che ama gli unicorni). Chi ha scelto il nome e perché avete optato per questa scelta?

Irene: La storia è abbastanza divertente, perché il nome era già stato trovato con la prima formazione, ma avevamo deciso di usarne uno più “serio”. Nel momento in cui c’è stato lo split e abbiamo deciso di ricominciare da zero, abbiamo recuperato il nome Bloody Unicorn e deciso di sfruttarlo a nostro favore. Riflettendo sulle varie sfumature che questo nome può evocare, ci siamo resi conto che si sposa perfettamente con i temi affrontati nei testi. L’unicorno è visto come un animale puro, mentre il sangue è qualcosa di “violento” e il connubio dei due elementi è ciò che cercavamo per la nostra band.

Tutti quanti voi provenite da altre band e avete un vostro percorso alle spalle. Come siete riusciti a convergere lavostra precedente militanza artistica e le rispettive visioni musicali in questo nuovo progetto?

Irene: Considerando che Davy e Lorenzo militano nella stessa band (i Barbarossa, ndr) da cinque anni, con questa nuova line-up è stato piuttosto semplice unire le idee di tutti. Un po’ meno semplice è unire i caratteri, ma nonostante qualche diverbio interno, arriviamo sempre a degli ottimi spunti e punti d’incontro per poter lavorare in armonia. Teniamo sempre in considerazione che, mentre Davy e Lorenzo arrivano dalla scena thrash/death, io arrivavo da quella symphonic, perciò abbiamo più punti di vista sulle stesse cose.

Il titolo dell’EP è altresì curioso. Potrei sbagliarmi, ma io ho dato una mia interpretazione personale e potrei certamente sbagliare. Se si parla di “mostrisotto il letto”, automaticamente la nostra mente elabora le paure infantili o, volendo, si associa il tutto all’acluofobia, la paura del buio. Per come la vedo io, togliendo il contesto dal suo significato letterale, i mostri sotto il letto potrebbero essere anche delle paure profonde, quasi inconsce, dell’animo umano, quelle paure che, appunto, ci paralizzano o ci rendono impotenti, fragili ed insicuri, quindi i mostri in questo caso sono decisamente le fobie che si nascondono nell’angolo più profondo della nostra mente. Nel vostro caso, quali sono i vostri mostri sotto il letto?

Irene: Ottima analisi! Esattamente di questo parlo, in generale nell’EP, ma soprattutto nella title track del disco. Nel mio caso, i miei “mostri sotto al letto”, sono la costante paura di essere inadeguata alla situazione, il farmi prendere dall’ansia nei momenti meno opportuni (come, ad esempio, quando sono sul palco) e il tutto è condito da una fobia del buio che sto affrontando negli anni.

Lorenzo: Credo che questa sia la domanda più difficile che mi abbiano mai fatto in un’intervista, ma tutto sommato se parliamo di queste tematiche sicuramente non è per tentare di nasconderle sotto al tappeto ma per cercare di affrontarle e di uscirne vincitori. I miei mostri sono tutti gli atteggiamenti introversi che avevo da piccolo e che nonostante sia riuscito ad appianare nel tempo ancora mi ritrovo fra i piedi.

Davy: Personalmente non mi sento di dire di avere dei “mostri sotto il letto”, certamente ci sono tanti aspetti del mio carattere che vorrei cambiare in futuro. Ad esempio sono abbastanza impaziente in generale, spesso do per scontato molte cose e a volte non mi metto nei panni del prossimo. Mi piacerebbe lavorare su questo aspetto, in quanto ciò condiziona anche il mio rapporto con il prossimo probabilmente.

Parlando della copertina, invece, notiamo questo bellissimo lupo di fronte ad una bambina. Come si ricollega alle tematiche sviluppate all’interno del disco e cosa rappresenta?

Irene: Uh, grazie per averlo chiesto, siamo molto affezionati all’artwork. Ho sempre avuto, come idea generale per la copertina, quella di veder rappresentato un mostro insieme a una bambina. La paura contrapposta all’innocenza, il dover affrontare le proprie fobie e i propri punti oscuri. Volevo pensarci io stessa, ma dal momento che sono una totale schiappa col disegno, abbiamo deciso di commissionare l’artwork alla bravissima Sabry Ardore, fotografa eccezionale che si diverte anche con le fotomanipolazioni. Il lupo è un animale a cui sono molto legata (un soprannome che mi era stato affibbiato è proprio “the She-Wolf”) e ho deciso di usarlo come rappresentazione della paura e dell’ignoto, in quanto viene spesso visto come un animale “pericoloso”, soprattutto da chi non lo conosce. Il che ci riporta ai temi affrontati nell’EP: la paura del buio, della malattia, della distruzione. Tutto ciò che arriva a spaventarci perché, spesso, è ignoto.

In un brano avete analizzato un tema di cui, a mio avviso, si parla ancora molto poco sia ai tg, che nella vita quotidiana: la depressione.È, effettivamente, un argomento molto delicato, specie se si pensa a quanto possa essere difficile per molte persone poterne parlare apertamente, poiché temono spesso di essere giudicate o criticate negativamente. Secondo voi, esiste realmente un modo per dare un aiuto concreto a chi ne ha bisogno?

Irene: Sì, assolutamente sì. Per fortuna, ad oggi, esistono moltissimi servizi per chi ha bisogno di aiuto (psicologo gratuito della ASL, numero anti-suicidio ecc.), anche se lo stigma è ancora molto ampio e, spesso, si vede ancora il depresso come “triste” e non come persona effettivamente malata e bisognosa di aiuto. L’informazione è importantissima e concordo sul fatto che se ne parli sempre troppo poco e spesso in sordina, continuando a far passare il messaggio che andare dallo psicologo fa di te un malato mentale. Ho notato che sempre più artisti parlano apertamente della loro depressione o anche disturbi mentali, cosa importantissima per far capire che queste malattie esistono ed esistono le terapie per poterle affrontare.

La musica potrebbe, effettivamente, essere vista come un’ancora di salvezza per chi, come detto pocanzi, non riesce a buttar fuori tutto il disagio che sente dentro di sé? Può essere davvero un’arte curativa, una terapia?

Irene: Assolutamente sì. La musica può essere un ottimo veicolo per esternare il proprio disagio e tutto ciò che non si riesce a esternare con le proprie parole, per questo esiste anche la musicoterapia.  L’importante è anche capire il limite di ciò e, al bisogno, affidarsi ad un bravo terapista, così da essere seguiti nel proprio percorso.

Per essere un debutto, c’è da dire che vi siete addentrati in temi molto complessi (vedi la depressione, le malattie, o una malattia in particolare come affrontato in “Running Out Of Time”). Avete tratto l’ispirazione da episodi di vita vera, quindi cose personali, o siete stati influenzati in qualche modo da alcune situazioni che vi hanno circondato?

Irene: Tutti i testi sono tratti da storie di vita vissuta o da eventi che mi hanno particolarmente interessato (come la questione post-apocalittica trattata in Faith e Forgiven). Purtroppo, per quanto riguarda Running Out of Time, ho avuto a che fare direttamente con dei malati di Alzheimer e demenza senile, cosa che mi ha fatto riflettere a lungo prima di scrivere quel testo. Poco prima di dovermi mettere a scrivere, ho rivisto una persona che conosco da quando ero bambina e che da qualche anno ha ricevuto la diagnosi di Alzheimer. Il fatto che mi avesse guardato con sguardo curioso, chiedendosi chi fossi, mi ha lasciato addosso una sensazione tremenda. Credo sia stata quella la miccia che mi ha dato il via per un testo così impegnativo e complesso. Anche i prossimi testi saranno un po’ duri da digerire, ma preferisco sempre parlare di ciò che conosco.

Irene, i tuoi studi di psicologia in qualche modo ti hanno aiutata nella stesura dei brani o ti sei affidata semplicemente ai tuoi sentimenti, a ciò che sentivi nell’esatto momento in cui hai scritto le canzoni dell’EP?

Irene: In parte sì, perché il conoscere dall’interno certe problematiche (comprese le malattie neurodegenerative), mi ha aiutato non addentrarmi in cliché e cavolate varie ed eventuali (che possono scappare a chi non conosce le problematiche da vicino, spesso in buona fede e non per cattiveria). Diciamo che il mio percorso di laurea ha anche un po’ influenzato la scelta dei temi affrontati, dal momento che buona parte dei testi sono stati scritti nei viaggi in treno di andata e ritorno dell’università.

Il disco è un gustoso assaggio di un primo full length o sarà da considerarsi, al momento, una release indipendente?

Irene: Stiamo attualmente pensando ad un primo full-length, ma lo comporremo con calma (anche se non troppa) e cercando di portare i pezzi ad un altro livello. Siamo molto contenti dell’EP, che per il momento rimarrà figlio unico, ma anticipiamo già che ai nuovi pezzi stiamo lavorando con altro metodo, altro spirito e con ancora più voglia di migliorarci. Spoiler alert: vogliamo provare a registrare le prossime orchestre con archi veri, se riusciremo a crearci l’opportunità.

Solitamente si tende sempre ad essere molto scettici quando si tratta di prestare ascolto ed attenzione alle nuove realtà musicali italiane e non. Si tende, appunto, ad avere un grosso disinteresse e a rivolgere la propria concentrazione su cose già trite e ritrite. Secondo voi, che cosa vi contraddistingue, appunto, dalla massa? Cosa vi rende unici?

Irene: Secondo noi, un punto focale dei Bloody Unicorn è la nostra capacità di unire vari elementi in modo spontaneo e senza forzare nulla nelle composizioni. Chitarra, batteria, voce e orchestre vengono messe assieme senza sacrificare nulla e cercando di creare qualcosa che ci rappresenti e che parli di noi. Non posso dire che tutto ciò che facciamo sia originale, sicuramente ci sono degli elementi che riprendono qualcosa di già sentito (come è normale per tutti), ma cerchiamo sempre di metterci del nostro, la nostra personalità e i nostri diversi background.

Ricollegandomi a quanto appena chiesto, perché spesso non si vuole investire nella novità, nella band che, seppur non famosa o che porta grossi numeri in tavola, ha comunque tanto potenziale da dimostrare sia su disco che in sede live? Perché si tende spesso a tarpare le ali a chi, invece, vorrebbe spiccare il volo? Cosa andrebbe cambiato nella mentalità di locali, promoter e della gente stessa che ascolta questo genere di musica?

Irene: Hai detto il punto focale: non porta grandi numeri in tavola. Non portando grandi numeri, sono sempre meno i locali e i promoter che decidono di investire su di te e permetterti di farli, i grandi numeri. Purtroppo, con la saturazione del mercato attuale, saranno sempre meno le band che avranno possibilità di emergere, nonostante la scena sia veramente di altissima qualità. Cambiare la mentalità delle persone è dura e non è un nostro obiettivo, però cerchiamo di andare incontro alla scena attuale e a sfruttarne le potenzialità. Cerchiamo di incontrare chi ha voglia di investire sulla nuova scena e creiamo la nostra fanbase tra chi ha piacere di ascoltare e supportare le nuove band. Andare da chi ascolta solo i gruppi preferiti e non ha alcun interesse ad ascoltare cose nuove, lo troviamo controproducente, nel nostro caso specifico.

Irene, rispetto ad altre cantanti hai certamente un tuo tratto distinguibile ed unico. Come hai sviluppato il tuo stile? Sei stata influenzata, in qualche modo, da qualche cantante in particolare?

Irene: Intanto, ti ringrazio per il bellissimo complimento! Parto dicendo che sono stata autodidatta per buona parte della mia vita, perciò l’influenza degli altri artisti è stata fondamentale per trovare la mia identità come cantante (che è costantemente in costruzione). Per le clean vocals, mi sono ispirata per anni a cantanti pop come Christina Aguilera e Lady Gaga, passando per il power con Tony Kakko, Roy Khan e Tommy Karevik. Per il canto estremo, invece, il mio “punto di svolta” è stato dato da Alissa White-Gluz nel brano Sacrimony dei Kamelot: mi ero talmente fissata a volerne fare una cover, da aver iniziato a cantare anche in growl. Da adolescente ho studiato per un paio d’anni canto corale, dove il repertorio era formato da brani della Disney, quindi anche le canzoni dei tanto amati cartoni animati sono state importanti per la mia formazione. Nell’ultimo anno mi sono innamorata di Tatiana dei Jinjer, Lena degli Infected Rain e Maria Brink degli In This Moment, i loro stili e i loro timbri sono diventati i miei principali ispiratori, sempre portando rispetto alla mia voce e cercando di ispirarmi e non di imitare.

Al momento quali sono i vostri piani futuri? Dove verrà rivolta la vostra attenzione nel corso dei prossimi mesi?

Irene: Come primo obiettivo, abbiamo quello di portare nuovi pezzi al nostro live del 17 gennaio al FAbemolle di Verona, poi stiamo tentando di mettere giù ulteriori date, puntando anche ad andare all’estero. Sul lungo termine, vogliamo sicuramente registrare un full length ed abbinarci un videoclip. Seguiteci sui social o sul nostro canale telegram per ulteriori aggiornamenti, sicuramente non staremo con le mani in mano!

Ragazzi, vi ringrazio per lo spazio concessoci. A voi le parole finali per concludere questa nostra intervista!

Irene: Ringraziamo di cuore te, Arianna, per averci voluto intervistare e per averci fatto delle domande estremamente interessanti e riflessive. Grazie allo staff di Femme Metal per tutto il lavoro che fate e per il supporto che date alla scena. E un grazie va a chiunque ci regalerà del tempo per leggere questa intervista e magari lasciarci qualche opinione in merito. Grazie da parte dei Bloody Unicorn, veniteci a trovare nelle nostre pagine social e sotto al palco, abbiamo le caramelle!

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